Hai intenzione di vendere un immobile che hai acquistato da meno di 5 anni? Allora questo articolo ti chiarirà tutti i dubbi sulla plusvalenza della vendita immobiliare.
Noi di Giordano Immobiliare infatti abbiamo pensato fare un po’ di chiarezza sul meccanismo di funzionamento della plusvalenza immobiliare, sui metodi di calcolo e sui casi in cui non viene applicata. Lavoriamo da anni nel mercato immobiliare di Milano e provincia e sappiamo quanto possa essere confondente la materia per i nostri clienti.
Leggi l’articolo per evitare brutte sorprese e capire come comportarti in materia di plusvalenza immobiliare.
Cos’è la plusvalenza immobiliare?
La plusvalenza indica un accrescimento del valore registrato di un bene immobile. La plusvalenza immobiliare identifica, quindi, il guadagno di chi, avendo acquistato o ricevuto in donazione un immobile ad un determinato valore, lo rivende entro i successivi cinque ani per un corrispettivo maggiore rispetto a quello dell’acquisto originario, godendo della differenza di valore tra i due prezzi.
I requisiti di partenza sono solo 2:
- Valore di acquisto inferiore al valore di vendita
- La vendita dell’immobile avviene entro i 5 anni dalla data di acquisto
Un esempio chiarirà più facilmente il discorso: acquisti un immobile a Milano a 100.000 euro e lo rivendi, entro 5 anni, a 150.000 euro. La plusvalenza sarà di 50.000 euro. Questo valore indica appunto il guadagno nato dalla differenza tra il prezzo di acquisto originale dell’immobile e quello di rivendita al prezzo maggiorato.
Guadagno che però (purtroppo per il venditore) non è netto perché, in base alla normativa vigente, è soggetto ad una tassazione.
Calcolo della tassazione sulla plusvalenza immobiliare: i due metodi
Sulla plusvalenza immobiliare viene calcolata l’imposta a titolo di “reddito diverso” nella dichiarazione IRPEF che andrà pagata in base alla propria aliquota di riferimento. Il Fisco quindi tasserà la plusvalenza immobiliare ai fini delle imposte sui redditi considerandola come un reddito diverso.
In questo caso la plusvalenza andrà a convogliare nel reddito totale e si sommerà agli altri redditi IRPEF. A questo punto la tassazione sarà calcolata prendendo in riferimento i diversi scaglioni dell’aliquota di partenza. Il calcolo è strettamente personale, ma in linea generale possiamo dirvi che maggiore è il reddito, minore sarà il vantaggio per la scelta di questo tipo di tassazione.
Scelta appunto perché c’è un’alternativa. Il venditore infatti può chiede al notaio del rogito di pagare l’imposta sostitutiva del 26%.
Questa imposta, introdotta nel 196 con aliquota del 12,50%, è stata aumentata al 20% con la Legge finanziaria del 2006 e, dal 1° gennaio 2020, è stata aumentata nuovamente al 26% con l’articolo 89 della Legge di Bilancio.
L’applicazione di questo regime sostitutivo è sempre facoltativa e dev’essere richiesta dal notaio in sede di rogito. Sostituirà, in tal caso, la normale tassazione IRPEF sulla plusvalenza.
Quando non si può applicare la tassazione sostitutiva?
Una premessa prima di continuare con la trattazione: ai sensi dell’art. 67, comma 1 del TUIR la tassazione sostitutiva del 26% non è applicabile alle plusvalenze che costituiscono redditi di capitale. In questa categoria sono ricomprese:
- Plusvalenze conseguire nell’esercizio di arti o professioni,
- Plusvalenze conseguire nell’esercizio di imprese commerciali oppure da società in nome collettivo o in accomandita semplice,
- Plusvalenze conseguire in relazione alla qualità di lavoratore dipendente.
Quali sono i costi detraibili sulla plusvalenza immobiliare?
L’art. 68 comma 1 del TUIR ha introdotto la possibilità di detrarre dal conteggio di plusvalenza i “costi inerenti”.
“Le plusvalenze di cui alle lettere a) e b) del comma 1 dell’articolo 67 sono costituite dalla differenza tra i corrispettivi percepiti nel periodo di imposta e il prezzo di acquisto o il costo di costruzione del bene ceduto, aumentato di ogni altro costo inerente al bene medesimo”.
L’articolo non specifica di quali costi si tratti, ma secondo consolidata giurisprudenza possono essere ricondotti in questa categoria tutte le spese sostenute per l’acquisto dell’immobile e quelle di ristrutturazione. In questa categoria di spesa sono ricomprese le imposte pagate per l’acquisto, l’onorario del notaio, la parcella dell’agenzia immobiliare, le spese sostenute per migliorie o ristrutturazioni e tutti gli interventi effettuati sull’immobile.
Continuiamo l’esempio precedente per comprendere ancora meglio il calcolo. Dalla plusvalenza di 50.000 euro potrai quindi detrarre il costo notarile di 5.000 euro, la parcella dell’agenzia di 3.000 euro, la ristrutturazione del bagno di 3.000 euro e le spese per la sostituzione degli infissi di 10.000 euro. La plusvalenza sarà quindi di 29.000 euro (e non più di 50.000) e su questa sola dovrà essere calcolata l’imposta Irpef o la sostituiva al 26%.
Bisognerà riuscire a dimostrare tutte le spese sostenute per l’acquisto o la ristrutturazione dell’immobile per ottenere la detrazione. Sarà quindi importante documentare ricevute e fatture inerenti:
- Quietanze di pagamento dell’imposta di registro
- Onorario del notaio
- Pagamento dell’IVA sull’immobile acquistato e di eventuali imposte ipotecarie o catastali,
- Parcella dell’intermediario immobiliare
- Interventi di ristrutturazione di ditte o esperti, ma anche di architetti, tecnici o geometri che hanno effettuato perizie,
- Interventi di manutenzione straordinaria (es. messa a norma degli impianti, sostituzione degli infissi o dei pavimenti).
Quando non si paga la plusvalenza immobiliare?
La plusvalenza immobiliare però non viene sempre tassata.
Non sono soggette a questo calcolo gli immobili pervenuti per successione e quelli in cui, per la maggior parte dei 5 anni, sono stati adibiti a prima casa in cui vi fosse stabilita l’abitazione principale del venditore o dei suoi familiari (coniuge, parenti entro il terzo grado e affini entro il secondo grado).
Ricapitolando quindi non si paga la plusvalenza immobiliare quando l’immobile:
- è stato ricevuto tramite successione ereditaria;
- viene rivenduto dopo il periodo di 5 anni dall’acquisto dello stesso;
- è stato utilizzato come prima casa per la maggior parte dei 5 anni intercorsi. Nel concetto di “prima casa” rientrano anche i casi in cui l’immobile fosse adibito ad abitazione principale anche dei propri familiari. Per dimostrare ciò è possibile evidenziare il tempo trascorso all’interno dell’abitazione (es. tramite utenze o domiciliazioni bancarie).
Un ultimo appunto: se rivendi l’immobile dopo 5 anni dall’acquisto, anche se generi una plusvalenza importante, non dovrai pagare nessuna tassa sul guadagno. Le plusvalenze ottenute trascorsi il termine di 5 anni non sono soggette a tassazione IRPEF né ad imposta sostituiva.
Plusvalenza immobiliare a Milano
Ora che hai chiaro cosa significa plusvalenza immobiliare e quali sono le metriche per la tassazione ti sarà altrettanto chiaro che si tratta di un “terreno minato”. Purtroppo, con l’inasprimento della tassazione nel 2020, la difficoltà nel reperire la documentazione degli interventi fatti sull’immobile e la burocrazia sempre complicata per il privato cittadino può essere davvero difficile muoversi.
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